20.10.04

Area Uno: LAX

QUANDO IL CAZZEGGIO prende il sopravvento sulla vita sono sempre momenti difficili. Nel mio caso, oltre a un sedimentato e condiviso trip per il mondo della Apple (quelli che producono i computerini con la mela morsicata, per intenderci), adesso ci si è messa anche questa storia degli aeroplani. Anzi, dell'aviazione civile (che è pur sempre inquinante ma eticamente accettabile rispetto a quella militare), roba ben più tosta.

Su Internet pare essere oltretutto un argomento di trip abbastanza condiviso - e qui non vi tedio oltre con lunghe liste di link sull'argomento - sia per quanto riguarda il volo reale che quello simulato. Buono, vuol dire che come al solito sono sulla notizia. Adesso però, dopo aver scoperto che in pratica solo la giovane Emilia ha passione per il volo (almeno, così parrebbe), e dopo una lunga lista di amici e conoscenti che mi guardano con crescente preoccupazione e condiscendenza quanto li intrattegono con lunghi pistolotti sulla storia delle compagnie aeree contemporanee o dell'immediato passato, ho deciso di prendermi una pausa.

Cerco di disintossicarmi, anche se in un modo un po' contorto. Vale a dire, rientro nel grande flusso mainstream della cultura popolare condivisa. Prendendo come spunto la visione (galeotta) di un telefilm che viene messo in onda dalla Nbc da circa un mesetto: LAX.



LAX è la sigla dell'aeroporto di Los Angeles e proprio di questo parla la serie. La mia è un'anteprima, dato che dalle nostre parti ancora non si parla (né tantomeno si può vedere) il suddetto telefilm. Che invece non solo è interessante e - a mio giudizio - pure carino, ma probabilmente diventerà tra un annetto anche un appuntamento dei nostri palinsesti. Per adesso è sullo schedule dei network statunitensi, in prima serata, con il formato di un'ora (cioè 47 minuti più la pubblicità) e richiama un certo pubblico se non altro per la protagonista femminile.

Si tratta di Heather Locklear, l'attrice che si è vista in televisione per Dynasty, Melrose Place, Spin City, T.J. Hooker e varie altre cose. Nata il 25 settembre del 1961, la quarantaquattrenne californiana negli ultimi anni ha avuto spesso il ruolo di "bionda demoniaca" e impersonato ruoli da donna decisa, autonoma e anche un po' cattivella, tipici del filone drama. In questa serie è una dei due protagonisti (l'altro è l'attore Blair Underwood, LA Law), la tosta direttrice delle operazioni di pista del quinto aeroporto al mondo, mentre Underwood, più dandy, si occupa della gestione dei terminal.



L'episodio pilota della serie si apre con il suicidio del direttore dellaeroporto, aprendo la via a una competizione tra i due managaer per farsi nominare dal sindaco come nuovo direttore. Fin dal primo episodio viene settato quello che sarà il principale leit motiv della serie e del rapporto tra i due (che tempo addietro hanno anche avuto una storia, brevissima, roba di una notte, alla quale si fa spesso accenno), dato che la salomonica ed inusuale decisione del sindaco è di lasciare la co-direzione dell'aeroporto ad entrambi.

Ma com'è questa serie? Di sicuro si capisce che è il frutto di una produzione di quelle "costose", cioè non è certo tutta girata in interni. Di cose se ne vedono e non poche, anche sulle piste di tarmac dell'aeroporto. La regia non è banale, gli effetti ci sono, il senso del lusso e dello spazio arioso - tipico dei film - era cercato ed è stato raggiunto anche per giustificare il formato in alta definizione utilizzato dai canali Usa per la trasmisssione (Nbc e altri). Ma com'è, allora? Praticamente, siamo di fronte a un E.R. girato in aeroporto.



E' questo più che non NYPD Blue, serie nella quale l'ideatore Steven Bochco gioca anche sulla regia utilizzando una tecnica di ripresa "mossa" e su continui giuochi del fuoco e dello zoom della macchina per dare la sensazione del convulso succedersi degli eventi.

Ma c'è comunque qualche differenza da E.R.: lì infatti si lavora non poco sull'introspezione dei personaggi e la dimensione è quella di romanzo corale, con una notevole ricchezza di tipi, di ambienti e una serie di momenti ritualizzati fondamentali per lo sviluppo della trama e ancor di più per quello orizzontale degli episodi, settimana dopo settimana.

Tipicamente, infatti, E.R. ha come segno di riconoscibilità una lunga carrellata seguendo personaggi diversi che si spostano nella sala di accettazione, con un collage di storie e conversazioni seguite e abbandonate una via l'altra, oppure - altro momento topico - l'arrivo totalmente ritualizzato dei malati in ambulanza, annunciati brevemente via radio e poi a voce da una infermiera, a seguire con la convulsione del momento di "sbarco" e del passaggio di consegne tra i paramedici e il personale della Sala emergenze. Ultimo elemento caratteristico (però di genere, c'era già nel dottor Kildare degli anni Sessanta, per intenderci) è quello del giro medico di visita ai vari pazienti, che serve anche da introduzione o cesura tra un capitolo e l'altro di ciascun episodio.



LAX è più centrato sui due personaggi principali, ma lo stesso si concede una struttura narrativa abbastanza corale che risulta, in alcuni momenti, un po' meccanica. C'è un prologo, l'apertura dei problemi, il complicarsi della situazione e negli ultimi dieci minuti la chiusura in cui tutto va a posto (o quasi). La ripetitività viene solo fuori dal numero di personaggi (in realtà cinque o sei, che identificano anche i quattro sub-plot principali oltre a quello condotto dai due protagonisti) e soprattutto dalla loro caratterizzazione, che non è così profonda come si potrebbe sperare, visto il livello di produzione.

Da un punto di vista formale, ci sono alcuni elementi (un po' in divenire) che seguendo la corrente attuale del telefilm statunitense (pensate a Six Feet Under oppure a Nip/Tuck, oltre a NYPD Blue o 24) caratterizzano LAX. Ci sono cioè delle soluzioni di regia, come le immagini accelerate del passaggio degli aerei, che lasciano rapide scie luminose, oppure le viste delle persone anonime che si trovano nel terminal, o certe fasi di montaggio (sicuramente stancanti per chi le deve realizzare) in stile videoclip molto asciutto con una serie rapidissima e turbinante di giustapposizioni di pochi fotogrammi di inquadrature diverse.

Singolarmente, nei primi sei episodi (quelli trasmessi sino ad ora) in realtà le soluzioni di regia più "avventurose" e d'effetto sono associate di norma a due personaggi molto diversi. Da un lato la Locklear, soprattutto quando percorre in auto le piste per catapultarsi da un lato all'altro dell'aeroporto, dall'altro seguendo nei terminal dell'aeroporto il sergente di polizia Henry Engles (impersonato da Frank John Huges, Band of Brothers) che è un personaggio secondario ma problematico - soprattutto perché sbevazza - e quindi meglio si presta a effetti di distorsione della realtà. Altri personaggi, sia quello interpretato da Uderwood che altri, poiché maggiormente "solari" e psicologicamente dentro un tempo "normale", evidentemente non necessitano di particolari forme di estremizzazione del racconto quando il testo si sofferma su di loro.



Le trame nel complesso non sono male e soprattutto sono recitate con scioltezza e in modo piacevole. Si percepisce un po' - come notavo sopra - una certa meccanicità nelle situazioni e nelle psicologie (manierismo è forse la parola adatta, ma lascia pensare a una sovrabbondanza di dettagli che invece qui manca) mentre l'insieme è retto da un ottimo ritmo e da una mano felice, anche perché nei primi episodi la mano degli autori è spesso vicina a quella di chi firma la regia. La Locklear ha anche il ruolo di producer.

Sono plausibili gli episodi? La stessa domanda non si potrebbe fare a E.R. o a NYPD Blue. Nel primo perché il sovrabbondare di particolari tecnici, nella miglior tradizione delle storie da ospedale, rende assolutamente plausibile quello che plausibile non è. Nel secondo perché un antico patto tra gli autori di gialli e thriller, che vanta ormai quasi due secoli di onorato servizio, rende plausibile qualunque cosa, iper-realistica o ipo-realistica che sia. Ma qual è la vita di un aeroporto? Perché la dovremmo trovare non solo plausibile ma anche affascinante a sufficienza da tenerci un'ora davanti alla televisione?

La storia è quella dell'aeroporto di Los Angeles, in sigla LAX come dicevo. Anche se poi è girata negli esterni in un altro (e più piccolo) aeroporto californiano, Ontario, mentre gli interni sono girati negli studi della Universal. Ma la mano è abile nel rendere assolutamente plausibile - ah, la magia del grande e del piccolo schermo- sia l'una che l'altra situazione facendole sembrare un tutt'uno. Ed è un bene, perché c'è un primo pubblico che è tipicamente quello degli appassionati ma anche degli utilizzatori abituali degli aeroporti. E negli Usa non sono pochi, né gli uni né gli altri. Tanto da far pensare che probabilmente la seconda scommessa (la prima è quella del seguito degli appassionati di Heather Locklear, che non sono pochi) è giocata proprio sulla capacità di attirare un pubblico incuriosito in qualche modo dall'aeroporto di per sé e desideroso di "saperne di più", di vivere storie dentro questo luogo sospeso nel tempo, anzi luogo dove il tempo non appartiene più alle persone ma viene scandito da ritmo strani anche per le società moderne.

Poi, se c'è la tendenza, la narrazione ben fatta, il fenomeno di costume, allora la serie potrebbe decollare anche per il grande pubblico. Per adesso siamo lontani sia dagli standard qualitativi di E.R. che di Charmed, in italiano Streghe, con le tre allegre sorelle di San Francisco, sempre pronte a sconfiggere qualche demone devastando una casa che pare più vissuta della costa della Normandia. Ma la speranza c'è. Non ho per adesso dati di ascolto, né sarei bravo a interpretare quelli che vengono dalla Nielsen per il mercato televisivo americano. Ma tra poco sapremo, e vi terrò sicuramente aggiornati. Per adesso, fidatevi del mio gusto: mi sto divertendo a guardare LAX e se vi capita vi consiglio di guardarlo anche a voi...

Nessun commento: