13.10.04

Meme, che non fa rima con mimo (ma è interessante lo stesso, almeno credo)

UN SIGNORE, TAL Richard Dawkins (zoologo britannico), ha scritto un libro (che ovviamente non ho letto e neanche lo farò), The Selfish Gene. In questo libro lo scienziato ha dato la stura a un'idea che è di per sé la rappresentazione vivente del concetto che vuol veicolare, per il fatto stesso che lo veicola. Facile, no? Ma andiamo con ordine e chiariamoci una volta per tutte - ammesso che sia possibile - che diavolo sono questi memi. Il resto seguirà - come si dice - naturalmente...

Un tempo c'era chi diceva che il linguaggio è un virus. Per la precisione si trattava di William Burroughs (e anche di Laurie Anderson, ma lei è una cantante e fa meno testo, qui). La frase appartiene all'epoca della semiotica e dintorni, un mondo strano e anche un po' paludoso. Poi arriva Dawkins, che più che del comportamento delle parole si occupa del comportamento degli esseri viventi (si chiama etologia, come quella di Konrad Lorenz e delle sue paperelle, per intenderci) e comincia a sostenere che, così come il gene è l'elemento base, l'unità, della genetica e attraverso la sua selezione gli esseri viventi evolvono, ci sono anche i memi, l'unità base della cultura, attraverso i quali questa evolve.



In pratica, i memi e la memetica servono allo studio di modelli evoluzionistici del trasferimento delle informazioni. I piccoli memi, questi mattoncini del Lego culturale, contengono informazioni base sulle idee, i linguaggi, le capacità, i talenti, l'estetica, la morale e tutto quello che ci possa venire in mente gli esseri umani possano imparare o trasmettere agli altri.

La loro evoluzione avviene partendo dal presupposto che siano i memi a camminare con le loro gambe, proprio come le idee. Ma, a differenza di quanto avviene con i geni, il loro passaggio comporta una mutazione di tipo lamarchiano (parola vietata in genetica). Il senso è questo: se a un topo cade la coda i suoi figli però la coda l'avranno (perché il patrimonio genetico non muta, dato che è contenuto da tutti i suoi geni). Se un meme cambia tra un passaggio e l'altro, i successivi lo vedranno nella nuova versione mutata e non in quella originaria.



E' logico, se ci pensiamo: una idea, se viene modificata durante il suo transito da una mente all'altra, poi prosegue la sua strada nella versione "evoluta" (in meglio o in peggio, non è questione) e non viene certo riallineata all'originale. Se accade, si tratta di un'altra forma di mutazione che corregge un percorso naturale considerabile come perdente rispetto a quello di origine.

Una delle questioni - perché la memetica non è certamente una teoria monistica - riguarda il cosa e il come. Cioè, si tratta di un passaggio di informazioni da una mente all'altra oppure di un replicare di comportamenti da un soggetto all'altro, dove le informazioni nel primo caso e il comportamento nel secondo sarebbero il meme? Domanda interessante alla quale non è stata data una risposta univoca.



All'inizio scrivevo che i memi sono anche una delle migliori rappresentazioni di se stessi. Nel senso che il meme di per sé è un concetto che - quando ve lo spiegano - vi intrippa e poi lo raccontate ad altri. In questo senso, transita a destra e a manca, evolvendo anche un po' (a seconda del grado di comprensione dei soggetti interessati, io per primo) e diffondendosi. Da notare che mentre il meme è un meme a sua volta, l'idea che il meme sia a sua volta un meme non è abbastanza diffusa da far ritenere che sia un meme. Però se leggete qui, probabilmente potrebbe diventare a sua volta un meme.

Altri esempi su chi sono questi memi: gli smiley, le faccine che si fanno per email o sul telefonino con punti, trattini e parentesi. Oppure le canzoni che si sentono e ci rimangono in testa, portandoci a fischiettarle mentre siamo sovrappensiero. Si tratta di memi di successo (riescono a "passare", hanno adempiuto la loro missione). Ci sarebbe anche un mio vecchio amore: All your Base Are Belong To Us è infatti un discreto meme. Poi razzismi, stereotipi, teorie della cospirazione, luoghi comuni, saperi condivisi da collettività, i "valori" degli ultras allo stadio...



Alla base ci sarebbe questa idea della cultura come cosa che evolve, come un grande organismo. Ma questo concetto può essere spinto anche molto più avanti: Susan Blackmore, per esempio, teorizza che il concetto di "sé" sia in realtà un insieme di memi, e cerca di ricostruire da un punto di vista altro rispetto alla psicanalisi dominante (iunghiana o lacaniana che sia) alcuni passaggi della nostra mente, oltretutto inglobando le culture precedenti in un fenomeno di memetica.



Quali sono le forze che portano i memi ad evolvere? Esperienza, felicità, dolore, timore, censura, economia (nel senso di produrre per gli individui del valore di qualunque genere economicamente rilevante) sono alcune delle spinte. Da prendere in considerazione tenendo a mente che il meme non ha una sua volontà, non è un individuo e tantomeno senziente. Semplicemente il meme "è" una unità e si replica o non si replica. Punto.

Due contributi finali alla protoscenza della memetica (purtroppo considerata una branca della sociologia, anche se alla lunga non è che c'entri molto con Durkheim e i suoi adepti). La prima è che Charles J. Lumsden ed Edward Osborne Wilson, all'inizio degli anni Ottanta, hanno sostenuto che il patrimonio genetico, la mente e la cultura evolvano insieme. E che all'interno delle nostre teste vi siano evoluzioni ed adattamenti neurologici legati a questo fenomeno culturale-sociale. Il meme, per loro, sarebbe proprio l'unità minima del cambiamento delle reti di neuroni che funzionano da nodi base per la memoria semantica degli individui.



Altri invece, come Karl Popper, dei memi pare che se ne siano sbattuti altamente, almeno da un punto di vista esplicito. Ma implicitamente hanno affrontato con una discreta asprezza il tema, sottolineando, come ha sottolineato il filosofo austriaco naturalizzato inglese, "che il valore per la sopravvivenza della intelligenza umana è che questa ci consente di far estinguere le cattive idee prima che loro estinguano noi".



Proprio l'alterità da noi delle idee ("gli ideali camminano con le gambe degli uomini", "io muoio, ma le mie idee continueranno a vivere") - tradotte come memi per rendere meno ambigua semanticamente la definizione e creare nuovi immaginari possibili di significato - è il concetto al centro della memetica. Più dell'evoluzione-mutazione, a mio avviso, dato che potrebbe darsi di una memetica creazionista contrapposta a quella evoluzionista (anche se tracce non ve ne sono e io ne rivendico qui la paternità riferendola non tanto e non solo a un discorso religioso quanto al collegamento tra idee e istinto, istinto e genetica) e via discorrendo.

Ah, quasi dimenticavo: le leggende metropolitane e lo spamming sono due forme di memi. Oppure no?

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