7.11.04

Gitex, lo Smau dei beduini, lo show del futuro e il mio divano

ALCUNE SETTIMANE FA, se ricordate, sono andato a Dubai per tre o quattro giorni. I ricordi di quel viaggio stanno per fortuna scemando, quindi posso finalmente scrivere quelle cose che non ho più lucidamente in testa senza timore di cadere in contraddizione. Logico, no?

La prima cosa che vorrei dire è che i locali in cui i ricchi manager vanno trovando compagnie femminili sono una gran cosa. Ti riempiono gli occhi. Questo è l'effetto che ha avuto, perlomeno, la visita serale con una sparuta pattuglia di genovesi alla parte "sociale" di un grande albergo e trovando, praticamente in un sottoscala foderato di marmo, il famigerato "locale notturno" che alle due si popola di vita galeotta. Legni, specchi, ori e arabeschi (siamo dopotutto nel regno degli sceicchi, no?). E la vita femminile mercenaria, che lì alligna, in tutta la sua fresca e giovane naturalezza coperta di Chanel, colori scuri e scarpe lunghitaccodotate. Parlucchiando a gruppetti di tre o quattro, di ogni razza e colore, guardando impudica quando entri. Così, tanto per soppesarti il portafoglio e saiddio che cosa d'altro. Un'emozione in più nella vita, da raccontare ai nipoti. Che tanto si chiederanno perché non ne abbiamo poi approfittato, e vagli a spiegare a quelle puzzole impertinenti che non bisogna mai pagare per quel che si può avere gratis: giovani debosciati.

Ma la cosa significativa, come già accennavo, è il Gitex in quanto tale. Avete presente lo Smau, la triste e perdente mostra-mercatino dell'informatica per microcefali? Avete presente il fastidio sia della collocazione spaziale (la Fiera di Milano è territorio che fortunatamente verrà raso al suolo, anche se il tutto si sposterà a Rho, e peggio non si poteva) che temporale (piove sempre sullo Smau, e in compenso dentro si suda come le bestie), la rabbia degli stand che si restringono, l'impudicizia delle giovani cubiste alte un metro e quaranta che si dimenano in perizoma, la tristezza esistenziale dei padiglioni e degli stand dell'eGovernment, l'afasia del pubblico, il numero impressionante di telefonini in promozione, la maleducazione dei ragazzini, il lancio di penne, cd e chissà cos'altro, la folla di venditori in giacca e cravatta, studenti di informatica col curriculum in mano (quello Europeo, di cui un giorno parleremo), i branchi starnazzanti di pr e i visitatori per caso che ogni anno giurano sarà l'ultimo ma poi son sempre lì? Ecco, il Gitex non è così.

Il Gitex è in un centro per le esposizioni più bello della Fiera di Milano. E non perché non ci voglia molto (infatti ci vuole pochissimo), ma perché quando l'hanno fatto non avevano in mente una struttura fordista delle esposizioni. Avevano in mente un centro commerciale, un modo per turlopinare la gente - in questo caso i beduini - con più classe e più relax. Senza farla anche faticare.

Poi c'è il pubblico, guardato a vista dalle squadre di poliziotti con le divise kachi e senza armi, che si aggira ordinato. Poche le donne, qualcuna anche velata, molte le straniere. Tanti gli occidentali, tutti in giacca e cravatta perché lì son persone serie mica vendono tarallucci, tantissimi i beduini col caffetano e magari anche l'orologione placcato d'oro e tempestato di pietre luccicanti. Sapevate che le "camicione" degli arabi, come le chiamano i telecronisti della Rai vittime di deficit linguistici che evidentemente non inficiano la loro professionalità, hanno i polsini con i gemelli d'oro? E che l'orologio è un po' pacchiano perché è l'unico accessorio che si può esibire (niente camicia, sandali al posto delle scarpe tanto non si vedono, niente cravatta, insomma, alla fine quasi ci si risparmia a investire solo nel gioiello da polso) quindi deve essere un po' lo specchio di un senso del benessere tribale da esibire ma anche un bene rifugio in caso di chiari di luna economici?

La cosa più fetente di Dubai City (che coincide sostanzialmente con Dubai regno) è l'umidità e le lunghe code all'aperto per aspettare i taxi. E il fatto che il creek, il canale che taglia la città, sia dotato di soli due ponti, clamorosi ingorghi di traffico e chiaramente il mio albergo fosse da una parte, l'area espositiva dall'altra e l'ora di punta corrispondesse al momento in cui cercavo di attraversare la distanza tra i due posti.

La cosa più bella di Dubai City sono i tassisti fluviali, che ti portano con dei gozzi che a Genova farebbero rabbrividire un camallo guidandoli come li potrebbero guidare solo a Napoli se fosse Venezia. Si danno anche le spallate e si rubano i clienti che è un piacere. Basta dargli un pugno di dollari e ti porterebbero anche sull'asfalto, montando le ruotine all'imbarcazione.

La cosa più divertente di Dubai City sono i palazzi, che vengono su per settanta piani in tre mesi e l'amministratore delegato - genovese - dell'importante società italiana che si appresta a investire nell'aerea li guardava perplesso dicendo: "ma non è che poi dentro son tutti vuoti?"

La cosa più triste di Dubai City era quella ragazza che passandomi accanto nel localino notturno mi ha toccato la schiena per farmi spostare, con gentilezza ma anche palpando e prendendo le misure. Era un sondaggio professionale, un'analisi da laboratorio, lucida ma disperata, se ci si pensa su per un momento.

Adesso, però, sta arrivando il momento di altra vita palpitante e rutilante nella metropoli tecnologica del nord Italiano (alias: Milano), vale a dire il FuturShow. Che, dopo un anno di silenzio, migra dalla natìa Bologna nel capoluogo meneghino e innova la sua formula facendo di necessità - pochi soldi - virtù, con "l'innovativa scelta" di quest'anno.

In pratica, fanno dieci stand alla Fiera e il resto saranno tutti allestimenti in giro per Milano, tra negozi, botteghe, aziende, locali e musei. Seguendo i dettami della città che deve essere vissuta sì come spazio e luogo sociale, ma anche come emozione (le ascelle sudate nei tram d'inverno? l'ingorgo intorno al Monumentale che si estende come un'unico verme sino a piazza Cinque Giornate?) e aperitivo-vernissage-seratinagiusta. Io, cari signori e creativi di questa cippa, sono pronto. Se il FuturShow decide, come la Triennale, di "abitare la città", di essere un po' qui e un po' lì, potete trovarmi a casa mia, sul divano, che guardo la tivù col portatile in braccio. Quello è il mio FuturShow 3004 o come cacchio lo chiamano. Mi volete? Connettetevi. Comunicate senza confini. Esaltate il concetto di "boundless". Poratemi l'evento in soggiorno. Sbattetevi, fate i creativi.

Soffro di presbiopia giornalistica, se non succede a tremila chilometri dal mio divano, non mi interessa. Anche perché i biglietti dell'Atm non li contano ai fini del frequent flyer.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao, non ho potuto fare a meno di riportare la tua definizione di cosa è diventato lo SMAU... :D
Ah, mi piace molto l'occhio con cui vedi il mondo... ;)

- Federico - http://www.pixzone.com/