6.6.06

Vecchi amici

RIPRENDO TRA LE mani il bel volume di Katie Hafner, Where Wizards Stay Up Late. Scorro le pagine del racconto di come sia nata Internet, degli uomini coinvolti e delle tecnologie che sono state inventate per la bisogna o di quelle esistenti che sono state in qualche modo e con tanta fantasia piegate alla necessità del momento. Lo spirito è quello dei pionieri, delle grandi avventure che per molti sono nate per caso, inseguendo un sogno intuito solo da alcuni e con la fortuna di trovare gli uomini giusti per una squadra invincibile.

Mentre il volume si srotola davanti ai miei occhi, una pagina tra quelle centrali si ferma sotto il mio sguardo. C'è una foto, davanti al planetario di Boston, dove sono riuniti forse per l'unica volta nella storia i 19 uomini che hanno lavorato al progetto iniziale della rete delle reti. Alcuni di loro sono morti, tutti sono molto più vecchi, adesso. Tra un po', con il correre del tempo, saranno sempre meno. La foto è del 1996, la rete invece nasce a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta.

Due firme a penna, in basso: Vint Cerf e Bob Kahn, cioè i due pionieri che hanno scritto il codice per l'instradamento dei pacchetti con i dati. E' il Tcp/Ip, l'alfabeto della rete. Sono vivi, ognuno impegnato in una nuova avventura: li ho incontrati a Pisa alcuni giorni fa - prima della mia partenza per San Francisco - mentre ricevevano la laurea Honoris Causa dall'ateneo toscano. Erano accompagnati dalle mogli: avvocatessa quella di Kahn, insegnante quella di Cerf. Vinton dalla nascita è praticamente sordo, ed ha conosciuto la moglie al liceo, durante un corso per ragazzi audiolesi. Il primo giorno l'insegnante li mise a sedere accanto e da allora non si sono mai separati.

Kahn e Cerf, pur diversi di carattere, sono amici sin da ragazzi, e ancora si mettono lì a gareggiare su chi sia più intelligente e creativo. Bob, l'ingegnere serio e tutto d'un pezzo, più bravo a scrivere codice, più anziano di tre anni ma meno bravo nel marketing di se stesso. Oppure Vinton, l'eterno fanciullo che ancora si emoziona a rileggere il Signore degli Anelli e racconta con aria sognante di quando ha incontrato Peter Jackson, grazie al suo nuovo lavoro con Google. Chiacchierando insieme su un tavolo quattrocentesco del Rettorato pisano si mettono a discutere di invenzioni futuribili, di valute digitali senza equivalente nel mondo fisico, e di videogiochi dove invece questo già succede. E' una gara mai finita e mai astiosa a chi sia più brillante: una lotta tra soli accecanti.

Accarezzo per un attimo ancora le due firme, i due autografi che hanno segnato sul mio vecchio libro: l'oggetto è un racconto "sociologico" della giornalista, una ricostruzione dell'avventura che ha portato alla nascita della rete, pieno di storie e dettagli sulla loro vita e di quella degli altri che insieme a loro hanno costruito Internet. Alla mia domanda un po' ingenua se lo abbiano letto, risponde Kahn dicendo che lo ha letto in questa versione, e in quella precedente, e in quella prima ancora, almeno una decina di volte, mano a mano che il testo si componeva nella sua forma definitiva.

L'autografo di Cerf ha una linea tratteggiata, ondulante, che gira intorno alla didascalia e raggiunge la sua figura, facendo ben attenzione a non sovrapporsi all'immagine di nessuno. Quella di Kahn è piccola e secca, lasciata lì con qualche goccia di perplessità: quella dell'autografo in realtà è stata un'idea di Cerf, che ci dev'essere ormai abituato. E' un uomo dolce e spontaneo, a pelle, ma per niente ingenuo: con lo sguardo vede mondi che ancora non si sono realizzati. A sua moglie, durante il rinfresco che segue la cerimonia di laurea, riesco a dire che dev'essere ben strano essere sposato con l'equivalente di una rockstar per chi abita computerlandia. Lei sorride, penso che se ne sia già fatta un'idea da parecchio tempo.

Ecco, i ricordi sono questi: ho altri lavori da finire prima di scrivere questa storia ambientata in un pomeriggio pisano, lungo l'Arno soleggiato più a valle del mio Arno fiorentino. Spero che ne venga fuori un buon articolo. Adesso però capisco la differenza tra un giornale e un blog per chi di mestiere come me scrive: è questa la storia che vorrei mi chiedesse il mio direttore, non l'altra, quella più formale. Ma va bene anche quella che pubblicheremo sul giornale; sarà per forza di cose più distante dalle mie emozioni ma spero non meno interessante. E' giù tardi: chiudo il libro di Katie Hafner e mi metto a lavorare sulla prossima scadenza.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Come nella vecchia barzelletta col Papa: ma chi sono quei due signori al tavolo con Antonio?