13.4.07

Un mondo di informazioni all'ingrosso

AL GIORNALE RADIO della Lombardia raccontano della Moratti che non fa sconti a nessuno e del governo di Pechino che chiede chiarimenti sui disordini di ieri. I vigili sono in pausa panino mentre la comunità cinese di Paolo Sarpi a Milano, attraverso i suoi rappresentanti, rilancia l'idea di una zona esterna al centro della città dove riorganizzare la presenza di magazzini e ingrossi (peraltro comprati qui per contanti e non a pochi soldi dai suddetti cinesi).

Negli ultimi sette anni ci sono due tipi di furgoni e auto che si fermano al volo e in doppia fila per scaricare sui famosi "carrellini" scatole e scatole di "roba". Quando sono arrivato qui in parecchi mi dicevano che "non è mica possibile che campino scaricando solo quelle scatole: chissà cosa c'è dentro, e comunque qui ci dev'essere droga e riciclaggio di soldi sporchi". Quest'ultima nota, soprattutto perché i cinesi pare abbiano l'abitudine di fatturare tutto e tenere bolle d'accompagnamento e altri adempimenti contabili in primo piano. Ma quel che arriva con i furgoni guidati da altri cinesi (primo tipo) sono scatole che poi auto e furgoni guidati da italiani (secondo tipo) caricano su e portano via.

A chi "rubano" e cosa "spacciano" i cinesini? Per "spacciare", non ce lo dimentichiamo, spacciano alle mercerie e botteghe - tutte italiane - di mezzo Belpaese. A centinaia di commercianti italiani che comprano qui perché costa meno e rivendono con ricarichi tra il 150% e il 200% (e punte del 400%), spesso senza neanche emettere un mezzo scontrino fiscale (per giustificare le fatture emesse dai fornitori all'ingrosso cinesi, in presenza di tali ricarichi nella vendita al dettaglio, gli basta fatturare metà per essere già "a posto" con gli eventuali controlli fiscali, il resto viene via tutto al nero). Vendono tute da ginnastica, scarpe, jeans, bigiotteria, abbigliamento, centinaia di tipi diversi di beni. Che non sono necessariamente prodotti solo da cinesi affastellati in capannoni come schiavi tra la Cina e le periferie nostrane. Non ci sono falsi, per carità (non passano da qui). Ma molto di quel che viene prodotto ha origini tutte italiane. Sono i terzisti italiani (spesso con manovalanza cinese o araba) che riforniscono le nostre griffe "basse" dell'abbigliamento, con giochini fatti come matrioske di partecipazioni e controlli societari di Sas e Srl, a produrre anche un consistente extra che poi rivendono ai buyer dei grossisti cinesi. Sempre a prezzi molto bassi; molto più bassi delle produzioni "alte". Vendono pezzi difettati o "facili", senza il ricarico che il fornitore terzista può chiedere alla griffe, e che passano così nel mercato "povero", dove a fare la differenza sono la quantità e non la griffe.

Quando Aristotele parlava delle differenze, sottolineava che ciò che è differente da qualcosa è sempre differente per qualcosa, tanto che necessariamente ci deve essere qualcosa di identico in base a cui si possa dire che sono differenti. Chissà se ci chiediamo, noi popolo di santi, poeti e naviganti (oltre che di emigranti, di lavoratori al nero, di mafiosi e di copioni, e di innovatori di prodotto, di rivenditori a basso prezzo quando il made in Italy era ancora da inventare e percepito come un pericolo, di piccole imprese, di diaspore in tutto il mondo, di città ghetto nelle città moderne e scintillanti dove andammo a vivere, di imprenditori che sognarono di aprire "il ristorante" nel paese dove si trovarono a commerciare) tanto attenti a vedere la differenza linguistica, culturale ed etnica, in che cosa siamo in realtà identici. E se questa identità non sia una base per conoscersi.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Complimenti ;) Correggimi se sbaglio, il succo del tuo ragionamento è che la comunità cinese potrebbe essere incazzata perché a loro viene richiesto tutto ad un tratto il rispetto delle regole, mentre nulla viene fatto agli italiani con cui commerciano. Sono d'accordo, però occorre anche ammettere che la comunità cinese non ha mai fatto nulla per aprirsi all'italia... coltivando al loro interno un sospetto autenticamente xenofobo. Come spieghi il mfatto che fingono (o non sanno) di non parlare l'italiano? Assurdo soprattutto perché si tratta di un popolo molto giovane. Avranno le loro 'madrasse'... indaga
Intanto la legge amato ferrero è approdata al consiglio di ministri...

Anonimo ha detto...

Per riprendere la tua citazione di Aristotele, più che di differenza si tratta di un asimmetrico tipo di eguaglianza.

Tutti gli uomini sono eguali, ma alcuni sono più eguali di altri

Antonio ha detto...

Ehi, ma la citazione è di George Orwell, no? Comunque, qui la situazione è strana. Credo che alla fine Paolo Sapri abbia più opinioni che abitanti. Non ho una tesi precostituita ma desiderio di ascolto, anche se come tutti ho anche io le mie opinioni.

E se poi i cinesi non si aprono, vorrà dire che loro hanno un progetto di società, a differenza di noi. Perché noi, secondo me, mica l'abbiamo. Perlomeno, se c'è ancora non l'ho capito...

Anonimo ha detto...

Sì, era il buon George.
Non conosco a fondo la situazione sociale della Chinatown milanese, ma l'ho sempre vista come una zona tranquilla, dove si viveva in pace; ci volevo pure andare a stare.
Quindi i tafferugli mi hanno un po' colto di sorpresa; magari mi ero fatto un'idea sbagliata? O forse no.

E poi, come potranno mai i cinesi integrarsi quando vengono criticati anche solo per aver esposto le loro lampade durante il Natale?