24.6.07

Pensieri ispirati dalla quarta valvola

STA SCOMPARENDO DAL mercato la "quarta valvola termoionica", senza che ce ne accorgiamo. Le valvole, che gli americani chiamano Vacuum tubes (i britannici invece le chiamano Thermionic valves), sono note soprattutto nel loro primo uso: radio, impianti di amplificazione ad alta fedeltà, antichi telefoni, primi computer sia analogici che digitali. Poi, ci sono due razze particolari di valvole, appartenenti al genere dei Magnetron: radar e forni a microonde. La quarta specie di valvole è ancor più particolare (ed è quella che si sta estinguendo). Si tratta del tubo a raggi catodici impiegato nei comuni televisori. In questo momento sono di fronte a due differenti monitor di computer ed entrambi sono costruiti con tecnologia a cristalli liquidi. E nelle case di molti (io a dire il vero non ce l'ho) anche le televisioni sono basate su schermi Lcd. Rimangono solo i Magnetron, negli aeroporti, sugli aerei e nelle cucine...

La storia valvola, che per la lettura di un libro sulla storia della Silicon Valley sto per la prima volta approfondendo (non che ci volesse molto: bastava iscriversi alla Scuola Radio Elettra...) è molto interessante. A cavallo tra gli anni Venti e il Secondo dopoguerra tutti i maggiori avanzamenti tecnologici nel design e nella fabbricazione delle valvole (che sono bestie difficili, visto che stanno dentro una campana di vetro sotto-vuoto) derivano da una competizione spintissima e da una inflessibile normativa sui brevetti. In pratica, il 90% delle innovazioni derivano dagli sforzi che i ricercatori delle diverse aziende dovevano fare per arrivare agli stessi risultati bloccati perché già brevettati da altri. Il lato positivo era che i brevetti erano pubblici e che le valvole erano una tecnologia in cui l'analisi "a vista" e il reverse-engineering sono abbastanza semplici (non è lo stesso per il software compilato).

La riflessione successiva parte proprio da qui: all'epoca l'esistenza di una open-vacuum-tube licence avrebbe reso praticamente impossibile l'impressionante avanzamento tecnologico di quel trentennio togliendo la principale motivazione. Un po' come quelli che se non hanno dei vincoli e delle scadenze imminenti e assoluti non riescono a lavorare creativamente. Ecco, perché allora per il software questo deve essere un dogma indiscutibile? Non è che la presenza del "closed source" e soprattutto della legislazione sui brevetti ha spinto a una maggior innovazione che non l'"open source" e le licenze Gpl? Non sto parlando di innovazione incrementale (che l'Open Source sicuramente garantisce) ma quella distruttiva, che fa fare un salto di paradigma.

Bisognerebbe probabilmente cominciare a ragionare in maniera un po' più complessa di quanto non abbiano fatto Stallman, Lessig e Benkler. Cioè, vedere il quadro più generale e non solo l'aspetto "destruens" della rivoluzione delle reti. Magari provando a fare un po' di ordine tra concetti e piani diversi, anziché fare un frittomisto di tutto. Stai a vedere che il neo-dogmatismo "open" che impera alla fine non è una cosa buona...

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