23.4.10

Voglio l'America (2009)

CI SONO LIBRI che ci metti parecchio a leggere, anche se sono brevi. Voglio l'America di Enrico Franceschini, giornalista (oggi corrispondente dalla Gran Bretagna per Repubblica) è uno di questi. 190 pagine, editore Feltrinelli, il prezzo non lo so perché me l'ha regalato Fabio, è una storia di iniziazione, un passaggio dalla vita giovanile a quella adulta, un romanzo di apprendimento, e una biografia romanzata. E una fastidiosa opera di fantasia, che si redime ma solo nel finale.

L'avevo iniziato senza che mi piacesse: decine e decine di pagine di lenta partenza newyorkese per il provinciale di Bologna che sbarca a New York dopo la laurea (borsone, mille dollari, macchina per scrivere e gli scarafaggi della Grande Mela come coinquilini a Hell's Kitchen) e comincia a sognare in trasferta, ad occhi aperti. Il fastidio, tipico di noi provinciali che siamo sbarcati da qualche parte e poi non ce l'abbiamo fatta (perché non ce la facciamo mai veramente) di fronte a uno che invece ce l'ha fatta un po' di più. E poi, perfino un bolognese, con quel loro modo così simile eppure così antitetico rispetto ai fiorentini: una cultura divisa dall'Appennino, ovvero due culture aliene avvicinate dai capricci della geografia. Insomma, antipatico. Insomma, tutta una problematica da provinciali al bar.

Poi, a Pasqua sono stato quattro giorni a New York per il lancio di iPad, e la settimana dopo ci sono ripassato (senza mai uscire dall'aeroporto, sempre JFK) per andare a San Francisco. E ho ritrovato l'America che Franceschini voleva fortemente venti anni prima che io volessi la mia. In più, l'ultimo terzo del libro comincia a sembrare davvero quel mondo folle, maleducato e cattivo, sostanzialmente vuoto, nel quale mi muovo da dieci anni, incapace di andare avanti o indietro. Quindi, un crescendo: Voglio l'America mi ha fatto simpatia e la voce di Franceschini, al quale rimprovero di aver un po' troppo romanzato il suo racconto (ma come fai, mi dico io, a ricostruire dialoghi e dettagli dopo trent'anni senza un'ombra di imbarazzo per la fantasia che spacci per memoria eidetica? Hai la sindrome di Asperger?) è diventata più sincera e più simpatica.

Alla fine, dalla metà in poi, Voglio l'America è un bel libro. A volergli dare una lettura differente, è un affare privato, un bel gioco, una cosa intima che vale la pena leggere anche pubblicamente. Con queste figure vaganti di Angie e soprattutto di Bruce Willis, che lo rendono anche gustosamente surreale. Bravo Franceschini. Anche perché, come tutti i bravi corrispondenti, quando non sa o non ricorda, inventa. Dopotutto, chi può viaggiare fino in America, o meglio, sino in fondo ai suoi ricordi, per verificare? Il perfetto corrispondente.

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