5.5.10

Una vita per l'aviazione (1982)

DA NOI L'ABITUDINE di leggere le biografie o, peggio ancora, le autobiografie, è praticamente inesistente. Se si vanno a vedere i dati di vendite o si parla con un editore, a parte qualche eccezione mediatica legata a gossip e mondo spettacolo, la vita dei nostri simili non ci interessa. L'Italia, in questa fase storica, preferisce il giallo tinto di noir. Buon per lei.

Invece, ho appena messo giù l'autobiografia di Giuseppe Gabrielli. L'avevo trovata mesi fa su uno scaffale defilato del Libraccio, l'avevo iniziata e poi era finita nel gorgo delle cose da terminare (che si ammonticchiano su scaffali e mobiletti intorno al letto, di solito, e crescono come un'animale mitologico e furioso) e solo adesso è giunto il suo momento. È un vecchio libro, del 1982, pubblicato da Bompiani (copertina rigida per 220 pagine, con prefazione di Gianni Agnelli). È intitolato Una vita per l'aviazione e riporta la storia raccontata da lui medesimo di uno dei nostri principali ingegneri aeronautici.

Giuseppe Gabrielli (1903-1987), siciliano di nascita, toscano di origine ma piemontese di formazione (andò a Torino da bimbo), ha iniziato a operare nel 1931 come progettista aeronautico per Piaggio, dopo aver studiato negli anni Venti in parte anche all'estero con il mostro sacro dell'aerodinamica, l'ungherese Theodore Von Kàrmàn. Presto "rapito" da Agnelli padre e da Vittorio Valletta, divenne il progettisca-capo di Fiat Aviazione ed è da considerare il padre della vecchia tradizione industriale aeronautica italiana. Dalla sua nascita, prima della guerra, alla sua conclusione, durante gli anni settanta.

Gabrielli, la cui iniziale del cognome (G) è la sigla dei più importanti aerei prodotti dall'industria italiana (dal caccia Nato G 91 al trasporto G 222, dal caccia della seconda guerra mondiale G 55 al trasporto G 212) in questo libro ripercorre tutta la sua vita e buona parte della politica industriale italiana e internazionale in campo aeronautico. Il mix ineluttabile è quello che separa il settore civile a quello militare. Nella famosa foto che ho riprodotto in questa pagina, che è identica a una delle tante presenti in questo bel libro scritto con Giancarlo Masini, Gabrielli è sulla sinistra insieme agli altri due progettisti di caccia della Seconda guerra mondiale, Joro Horikoshi e Willy Messerschmitt.

GiuseppeGabrielli


Le cose che più colpiscono di questa storia sono da un lato la lucidità e sintesi con la quale Gabrielli tratteggia la sua vita e quella del settore in cui ha operato. Dall'altro, il tempismo straordinario della sua vicenda: la vita di Gabrielli è lunga e perfettamente in sincronia con i tempi di cui diviene protagonista. Il libro si chiude nel 1982, anno in cui Gabrielli pensava di essere definitivamente in pensione (era stato "silurato" un decennio prima dalla Fiat) ma che, invece, lo vide ancora per cinque anni attivo nel nuovo ruolo di presidente di Fiat Aviazione, voluto da Cesare Romiti.

Le ultime intuizioni (e rammarici) di Gabrielli erano relativi al cambiamento di strategia di Fiat -- dopo la morte di Valletta nel 1965 -- che aveva scelto di impoverire il settore aeronautico, fino a quel momento poggiato sulla filosofia di saper progettare l'intero sistema del velivolo comprendente anche l'attrezzatura d'impiego, con la logica conseguenza di quelli che Gabrielli chiamava i suoi "tre pilastri fondamentali": la progettazione e costruzione della cellula; la progettazione e realizzazione dei motori; l'avioelettronica. Fiat Aviazione negli anni Ottanta era divenuta un produttore solo di motori, ma soprattutto aveva perso la sua chance storica di entrare nel gioco europeo di cui pure era stata protagonista, poiché il sistema Italia (e Fiat stessa) aveva commesso due errori.

Il primo errore di sistema era stato quello di non aver fatto consolidare attorno a un attore-principe le differenti esperienze industriali nazionali, con la tecnica delle cordate imprenditoriali nelle gare (cosa che invece succedeva in tutta Europa e negli Usa), e l'altro errore era stato quello che non aveva deciso per tempo (per Gabrielli anche per decisiva colpa di Alitalia, che nicchiò fino all'ultimo) di entrare dentro AerBus, cioè il consorzio Airbus.

Il libro è buono e non è solo per appassionati ma anche per gente di buona cultura e curiosa di storie nuove, in caccia di eccellenze anche nel passato magari solo per impararne il metodo. È una autobiografia, anche celebrativa e sicuramente scritta in maniera fin troppo celebrativa, ma sono felice di averlo nella mia piccola biblioteca. Il ricordo di Gabrielli e la sua prospettiva su quel pezzo particolare della nostra storia vale il piacere della lettura.

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