27.5.16

Dentro il ventre della balena

COSA LEGGEVA UMBERTO Eco? Articolo apparentemente ghiotto perché il personaggio è notevole: dopo che aveva fatto i soldi veri con “Il Nome della Rosa” Eco aveva potuto dar sfogo alla sua passione per la bibliofilia. Una forma di collezionismo nel caso piuttosto estrema (diciamo, l’equivalente dei francobolli o delle monete antiche per le persone colte). Per decenni aveva accumulato sia in qualità che in quantità, trasformando la casa di Foro Bonaparte a Milano (e altre magioni secondarie) sostanzialmente in biblioteche universitarie. Siccome a noialtri zoticoni di campagna ci fa impressione la quantità più che la qualità, la prova muscolare di Eco (decine di migliaia di volumi, scambi tipo “Ma li ha letti tutti?“, “Questi in realtà li devo ancora leggere, gli altri li ho già messi via”) ha colto l’immaginario. Però cosa leggeva? Erbari medievali e bibbie miniate?

Sappiamo invece che l’Eco studioso e intellettuale aveva anche operato a lungo e tra i primi per il riconoscimento del ruolo della cultura popolare, diventando una sorta di spartiacque (mitica l’intervista con Elio Vittorini sul primo numero di Linus, in cui si diceva che il fumetto non è una cosa solo per ragazzi). Quindi leggeva anche tanta letteratura popolare: romanzi e fumetti.

Eccoci a noi. Doppiozero, pur riconoscendo la varietà (e forse un po’ esagerandola) delle letture di Eco, poi sceglie la strada facile e ne segue un filo solo (in un articolo lungo, a tratti un po’ zoppicante e comunque noiosetto) che è quello della cultura pop. Peccato. Avrei preferito una provocazione e per una volta qualcuno che parlasse delle letture “forti” dell’intellettuale e studioso Eco.

Money Quote: “Pur padroneggiando virtuosisticamente moltissimi registri e sostenendo che per lui il narrare è una forma diversa di teoresi (cfr. su Doppiozero l’articolo di Gianfranco Marrone), l’autore non nasconde la sua ammirazione per il romanzo popolare, specie per quello che ha delle formidabili trovate narrative. In “Invenzione narrativa e tecniche del discorso” (in Grignaffini, Pozzato, Mondi seriali 2008) espone una distinzione fra romanzi che sono scritti bene senza avere invenzione narrativa, come l’Ulisse di Joyce; romanzi che hanno invenzione narrativa e sono anche scritti bene, come I tre moschettieri; e romanzi che hanno grande invenzione narrativa ma sono scritti male, come Il conte di Montecristo e I Misteri di Parigi.

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